lunedì 9 febbraio 2009

Un posto migliore dove vivere

Qualche anno fa comparve la notizia che la popolazione mondiale che vive nelle città ha superato per la prima volta nella storia quella che vive nelle campagne (o comunque fuori da centri abitati), una notizia che può lasciare molti indifferenti ma che vista nel contesto storico umano è molto importante.


In realtà la storia dell'urbanistica diventa "interessante" solo dopo la rivoluzione industriale del 1700, anche perché prima le città erano di ridotte dimensione, con interventi pubblici ridotti al minimo come qualche strada importante e qualche edificio pubblico, mentre il resto era lasciato alla casualità e all'iniziativa privata. D'altronde la città era un luogo di scambi commerciali e di attività artigianali, così come andò sviluppandosi nel medioevo, mentre la maggioranza della popolazione viveva di agricoltura che fino a pochi anni fa era ancora la principale attività umana nel mondo.
L'inurbamento avvenuto in questi anni quindi, come accadde nel '700 con la rivoluzione industriale e poi ancora dopo la seconda guerra mondiale in occidente, è quindi associato al netto cambio di attività umane, dall'agricoltura all'industria e al terziario, e la cosa interesserà molto da vicino tutti coloro che operano nel campo dell'urbanistica perché riproporrà, con maggiore intensità e complessità, i problemi che già nei secoli scorsi hanno interessato i fenomeni di forte inurbamento.
E' evidente che tutta l'urbanistica nasce proprio per gestire le grandi densità di popolazione e sono queste sfide che hanno poi prodotto i risultati migliori.
Ma la città è il posto migliore dove vivere?
Alla luce della notizia riportata sopra sembra essere una problema interessante, visto che comunque, volenti o nolenti, l'inurbamento è una realtà di fatto. In realtà rendere questi agglomerati urbani un posto migliore non rimane quindi solo una scelta ma a questo punto diventa una priorità.
La storia ci insegna che ogni volta che c'è stata una tendenza ad abbandonare le attività agricole per trasferirsi in città si sono avuti grandi problemi relativi alla densità (contrasti sociali, carenze igieniche e abbassamento della qualità della vita delle classi meno abbienti) che hanno imposto una pianificazione territoriale. E ogni volta c'è stato chi si è inventato un nostalgico “ritorno alla campagna” con esperimenti quali le “città giardino” (ad opera soprattutto di Howard, Unwyn e Mumford) e poi con immense villettopoli sviluppatesi nel secondo dopoguerra. Questi esperimenti, seppur diffusi, hanno mostrato grandi problemi, soprattutto di sicurezza e di mancanza di servizi pubblici, impossibili e antieconomici nelle realtà a bassa densità e vengono oggi sempre più abbandonati da chi può permettersi qualcosa di meglio.


La città invece, pur con tutti suoi problemi, sembra essere invece un modello vincente, capace di attrarre milioni di persone e capace soprattutto di evolversi e di mutare a seconda delle nuove e crescenti necessità della gente. E' vero che esistono metropoli con grandi problemi e che non tutte le città dell'occidente sono un luogo vivibile e capace di garantire una certa qualità della vita, ma a ben vedere è proprio nelle città che, anche storicamente, hanno origine le idee, non solo le tendenze e la moda ma soprattutto l'arte e l'evoluzione tecnologica, e la cosa diventa chiara se si pensa che solo dove c'è una densità sufficientemente alta si possono sviluppare scambi di opinioni e di conoscenze. Le città sembrano quindi assumere il ruolo di fulcro della vita sociale, economica, culturale, artistica e produttiva di una società, in poche parole è nelle città che avviene il progresso umano. La notizia sopra citata non è quindi una sorpresa se si intende il contesto cittadino come la normale e naturale evoluzione della vita sociale degli esseri umani. La città rappresenta quindi il luogo più stimolante per gli individui, il luogo dove incontrare gente, scambiare idee e culture diverse, non solo quindi il luogo dove vivere e lavorare.
Non serve certo una laurea per capire come nella nostra società la vita in campagna sia più legata a stereotipi di una vita agiata e sana che ad una reale qualità della vita. Chi vive fuori dalle città diventa sempre più spesso schiavo dell'automobile non solo per andare al lavoro ma anche per raggiungere qualsiasi esercizio commerciale, data la mancanza di mezzi pubblici (sembra impossibile ma in città come Londra o New York buona parte della popolazione non ha un'auto di proprietà ... non ne ha bisogno), e ciò produce grandi consumi di combustibile e costi alti di mantenimento.



L'impossibilità di raggiungere in tempi brevi luoghi pubblici, di incontrare tutti i giorni persone e di stringere così relazioni sociali, di avere a breve distanza negozi, ristoranti e luoghi di svago, attrezzature sportive e luoghi di lavoro o di istruzione sono tutti elementi che abbassano fortemente la qualità della vita, non solo oggettiva ma soprattutto quella percepita dalla gente.
Sull'altro piatto della bilancia però molti mettono la tranquillità e la qualità ambientale che però oggi è sempre più relativa al luogo in questione. Per facilitare gli spostamenti spesso le case vengono costruite vicino a strade extraurbane ad alta percorrenza, con alta quantità di traffico e di rumore, e paradossalmente i centri storici, sempre più spesso vietati o parzialmente interdetti al traffico, diventano più tranquilli. Inoltre le tecnologie di riduzione delle emissioni e le politiche intraprese da molte città europee per aumentare il verde e ridurre l'inquinamento hanno fatto delle più efficienti metropoli dei luoghi in cui l'aria è pulita e la qualità ambientale è notevolmente migliorata.
La campagna rimane comunque un luogo piacevole in cui trascorrere una vacanza o il proprio tempo libero, ma oggettivamente la vita sociale quotidiana è nettamente migliore in una città viva ed efficiente. La sfida è semmai quella di rendere sempre migliore il contesto urbano e di risanarlo dove vi sono problemi, piuttosto che andare a isolarsi in campagna, che, anche alla luce di recenti fatti di cronaca, sono sempre più spesso luoghi insicuri (i furti in villa ad opera di bande di extracomunitari sono in costante crescita).

6 commenti:

Anonimo ha detto...

La grande sfida degli architetti di oggi è proprio il sapersi adattare ai tempi che cambiano, come poi hanno fatto sempre nella storia. Non capisco davvero le forti remore che vedo in tanti miei colleghi a fare qualcosa di innovativo. Ci vuole coraggio e tanta creatività a fare gli architetti!

Master ha detto...

Purtroppo in Italia e spesso in Europa è prevalsa la mentalità della conservazione a tutti i costi anche di realtà prive di una qualsiasi importanza artistica, storica o architettonica. Si preferiva mantenere l'esistente piuttosto che migliorarlo o sperimentare nuove soluzioni. Tuttavia in questi ultimi anni ho visto molto più coraggio negli urbanisti e negli architetti e sono ottimista sul futuro di questa nostra vecchia Europa, sembra che si stia lentamente risvegliando e, complice anche la crisi economica probabilmente, stia dando priorità alla qualità della vita urbana piuttosto che ad una cieca e nostalgica mania di conservazione dell'esistente, almeno a vedere i tanti progetti di sviluppo proposti per molte città europee, Berlino e Londra in primis.

Anonimo ha detto...

Poni al centro del post una domanda interessante: La città è il posto migliore dove vivere?
La mia ipocrisia di esaltatore delle realtà che sfuggono in avanti la contemporaneità mi fa dire, no! Non è il posto migliore dove vivere! E da quì la scelta di vivere costantemente in periferie, e negli interland. Certamente però è il posto dove ci sono più occasioni, ovvio. Una via di mezzo tra le due è scartabile: un peggioramento della vita, con meno occasioni della città, è uno scotto che non merita di essere preso in considerazione. Probabilmente la soluzione è quella di avere un maggior numero di città, ma di dimensioni minori, come in Olanda, e se vuoi, come in Italia...

Master ha detto...

Le periferie sono in genere luoghi di qualità minore (forse perchè nati spesso dalla speculazione edilizia ...) dove si va a vivere per risparmiare (le case costano meno) e in alcuni casi per avere un facile accesso alle vie di comunicazione esterne (i centri storici sono sempre più blindati).
Ora è possibile avere città (urbane e non quindi solo periferie suburbane) dove sia anche conveniente vivere? Sarà che sono un ottimista ma secondo me è solo un fatto di concentrare in un'unica direzione gli sforzi pubblici e privati al fine di creare città economicamente, qualitativamente e logisticamente migliori. In questo modo il posto migliore dove vivere sarà anche il luogo dove ci sono più "occasioni".

Pietro Pagliardini ha detto...

Una obiezione a Master: tu dici che l'urbanistica è diventata interessante dopo il '700 perchè prima le città crescevano poco e in maniera confusa. Primo, le città non crescevano affatto in maniera confusa, tant'è che quei "confusionari" centri storici come li vediamo oggi sono nati proprio prima del '700, e sono città vere, dense e vivibili. Secondo: le pere pubbliche c'erano, eccome, anche senza ministero, perchè c'erano le Chiese, i Palazzi Comunali, i palazzi signorili che erano pubblici anche se privati, le università, insomma tutti quelli che oggi visitiamo con ammirazione. Vai a visitare con ammirazione un'opera pubblica di oggi, se la trovi!
Terzo: dopo il '700 scoppia l'urbanesimo, quindi il problema, che oggi è al punto di svolta tra popolazione residente in città e popolazione residente in campagna.
Forse il termine interessante non è quello giusto, direi che è più giusto problematico, senza attribuirgli significati positivi o negativi ma come semplice presa d'atto.
Per il resto io credo, come te, che la città sia l'ambiente naturale dell'uomo dato che l'uomo è animale sociale e può vivere solo se sta insieme ad altri uomini. Da solo sarebbe un essere molto debole, infinitamente più debole di centinai di specie animali; insieme agli altri è decisamente il più forte. Dobbiamo rovesciare una cultura che attribuisce all'uomo e alla città tutti mali: c'è una bellissima frase che dice: "l'aria della città rende liberi" e quando trovo che questa frase, che esalta la nostra civiltà urbana, viene utilizzata in maniera ironica e dispregiativa per il solito convegno dell'ARPAT sull'inquinamento urbano si sottintende, magari senza saperlo, che la civiltà è cosa brutta, che la città è brutta, che la natura è bella ma l'uomo è cattivo.
Una frase oggi, una domani e la percezione che l'uomo ha di sè stesso cambia in peggio.
Io continuo a dire:
l'aria di città rende liberi.
Senza città niente civiltà.
Saluti
Pietro

Master ha detto...

Il termine "confusione" l'ho usato per indicare la mancanza di un piano organico che solo con i problemi derivanti dalla Rivoluzione Industruale diventa necessario. Prima l'ambito urbano interessava solo una piccolissima fetta della popolazione e quindi non vi era la necessità oggettiva di strutturare piani di sviluppo. Vi sono tuttavia esempi di città antiche che per le dimensioni e la densità hanno avuto bisogno di confrontarsi con questi problemi prima del '700 (l'antica Roma prima tra tutti).
I centri storici medioevali della città di oggi riguardano solo le piccole città, perchè nelle grandi si è reso necessario proprio nel '700 e '800 lo sventramento del soffocante tessuto medioevale per la creazione di una struttura viaria e stradale più adatta alle nuove esigenze (vedi Parigi, Londra ecc...). In queste città dell'antico tessuto rimangono solo pochi quartieri e le opere pubbliche anche costruite in tempi recenti sono quasi sempre meta di grandi folle di turisti, a differenza di quello che sostieni, Pietro.
Le città devono evolversi per essere capaci di soffisfare le necssità di una società in continua evoluzione. Altrimenti rimangono in un ambito provinciale (purtroppo anche come mentalità), si desertificano e diventano luoghi con "poche possibilità" che tuttavia per la tranquillità possono essere gradite a qualcuno.