giovedì 7 maggio 2009

Il New Urbanism

Il New York Times lo ha definito “Il più importante movimento di riforma nel campo dell’architettura degli ultimi vent’anni”. Le informazioni e la storia di questa “filosofia” del costruire urbano sono facilmente reperibili su internet e sicuramente, data la grande eterogeneità del fenomeno e l'estensione degli interventi, specie nel Nord America, parlare in modo esaustivo del New Urbanism è impossibile, specie in un umile blog come il mio.

Per maggiori info: http://cnu.org
http://it.wikipedia.org/wiki/New_Urbanism
http://www.newurbanism.org/

Tuttavia questo “movimento di riforma urbana” è molto interessante e mi ha spinto già da parecchi anni a intraprendere una approfondita ricerca e analisi delle cause che ne hanno portato la nascita e dei risultati ottenuti.
I concetti alla base del New Urbanism sono semplici anche se risultati di parecchi confronti e studi che architetti e urbanisti americani avevano eseguito sui problemi urbani fin dalla fine degli anni '80. Le città avevano (e hanno tutt'ora) grossi problemi (inquinamento, sicurezza, traffico, degrado ambientale e urbano, qualità della vita scadente in molti quartieri, ecc...) e la volontà di trovare soluzioni concrete spinse grossi studi tecnici e importanti università a confrontarsi. Fu così che nacque il Congress For The New Urbansim che poi diede il nome all'intero movimento. In realtà di “new” c'è ben poco visto che le analisi urbane mostrarono che molti dei problemi potevano essere risolti attraverso una pianificazione territoriale più attenta alle esigenze degli utenti finali, cioè dei cittadini (hanno cioè scoperto l'acqua calda). La struttura delle strade, degli spazi pubblici, delle aree verdi, delle disposizioni di aree residenziali e commerciali, lo studio della densità urbana legata alla progettazione delle reti di servizi furono alcune delle principali argomentazioni che vennero prese in esame, inaugurando così un nuovo periodo di riflessione sull'importanza dell'urbanistica nella vita delle persone.
Forse il merito maggiore di questo movimento è stato l'aver evidenziato i veri problemi delle città di oggi, che troppo spesso, nei decenni precedenti, avevano subito danni provocati da una cieca speculazione edilizia e da una mancanza di pianificazione organica del tessuto urbano, resasi sempre più necessaria in periodi in cui concetto come la sostenibilità economica, il risparmio energetico e la qualità della vita iniziavano già a guidare necessariamente le scelte di molti pianificatori.



La cittadina di Seaside (Florida), progettata dallo studio DPZ (http://www.dpz.com/) è così diventata il simbolo del ritrovato interesse per l'ambiente urbano e fu ispirazione per innumerevoli altri interventi di riqualificazione e fondazione di nuovi quartieri e di nuove città in tutti gli USA.
In se è un villaggetto in stile coloniale con casette di legno colorate e stradine pedonali, situato lungo una parte della costa della Florida. A prima vista l'impatto è abbastanza straniante, tanto da sembrare un paese finto e da essere anche usato come set naturale del film “The Truman Show” (era la città creata ad hoc per ospitare l'ignaro Truman nel reality show della sua vita). In realtà la cittadina esiste ed è anche abitata da qualche centinaio di persone che comprando a circa 10000 dollari al metro quadro (secondo le ultime stime delle compravendite in quell'area) possono permettersi la propria casettina coloniale in legno.



L'esperimento di Seaside andò bene e spinse DPZ e altri architetti a progettare molti insediamenti, riqualificazioni urbane ed espansioni di parecchie città degli Stati Uniti, non sempre riusciti con successo come per esempio Celebration (voluta dalla Walt Disney Company che attorno ai propri parchi di divertimenti si stà lanciando nel campo della pianificazione urbana) che fu un clamoroso flop commerciale (a proposito molto interessante è l'articolo di Ernesto De Pascale (http://www.webgol.it/2004/09/16/celebration-citta-perfetta-tra-topolinia-e-il-truman-show/).



E qui nasce un primo dubbio: si può oggi costruire una città a tavolino, partendo da zero, una città di fondazione insomma? Le dinamiche sociali sono molto complesse e la comunità che andrà a vivere in questo nuovo nucleo dovrà partire da zero, non avrà cioè nessun background a cui attingere. I risultati quindi sembrano incerti quanto incerto è anche il successo commerciale che un tale intervento potrà portare. In America questo non preoccupa, o almeno non preoccupava alcuni anni fa (grandi spazi, terreni relativamente economici e forte spirito imprenditoriale ampiemente foraggiato dalle banche), ma ora, complice anche la crisi economica e gli scarsi successi ottenuti in alcuni di questi interventi, la cosa sembra ridimensionarsi e gli investitori iniziano ad andarci cauti con queste “new towns”. In Europa invece il clima è diverso, non è solo un problema di spazio, che in USA non hanno di certo, ma soprattutto di reale utilità pratica: creare un paesino a bassa densità significa costringere gli abitanti ad essere schiavi della propria automobile per l'impossibilità di creare una efficiente rete di servizi e di trasporto pubblico (antieconomica vista la bassa densità) e rendere così accessibile quel nuovo villaggio solo a chi può permettersi di spendere una fortuna in benzina e tempo (soprattutto). Inoltre la bassa densità non incentiva certo negozi ed esercizi commerciali e di nuovo tutti sul proprio SUV si parte alla ricerca di qualche ipermercato nelle vicinanze. Un americano medio se lo può forse permettere, un europeo medio molto meno. Questo è uno dei contrasti più evidenti di questa dottrina urbana: si prefigge di combattere lo “sprawl” (la pianificazione diffusa e caotica) con una pianificazione a bassa densità mascherata con qualche manierismo architettonico ma pur sempre antieconomica e poco sostenibile. Meglio espandere le città esistenti con nuovi quartieri ben strutturati e riqualificare eventualmente le zone degradate puntando ad una densità sufficiente per il commercio e le reti di servizi.
Il New Urbanism, a onor del vero, si è anche occupato di riqualificazione urbana con buoni risultati, e molte delle città americane hanno beneficiato degli interventi di “urban infill” e “smart growth”.
E' infatti in questo campo che questo nuovo movimento ha ottenuto i suoi migliori successi, ed è qui che le dottrine della Carta del New Urbanism sono state meglio applicate.
L'approccio operativo abbastanza semplice, quasi banale, consiste nella pianificazione partendo da un nucleo fondamentale, il quartiere considerato come una piccola entità urbana autosufficiente nella vita quotidiana, quindi con negozi e uffici, anche pubblici, unità sanitarie e scolastiche che permettano ai cittadini di trovare a poca distanza dalla propria abitazione tutte le strutture necessarie alle esigenze di tutti i giorni. L'unione e l'interazione tra i quartieri (strutturata anche con una efficiente e gararchica rete stradale e infrastrutturale per i mezzi pubblici e privati) dà poi vita al centro urbano vero e proprio che vede collocati i principali edifici pubblici nelle aree di confine tra i vari quartieri (normalmente occupati da strade principali e da assi cittadini che consentono un afflusso più consistente verso i punti nevralgici della città). Tutta l'espansione urbana dovrà infine seguire le linee di sviluppo per quartieri urbani autosufficienti (come quelli del centro), uno schema di sviluppo chiamato Traditional Neighborhood Development (o TDN visto che agli americani piace abbreviare tutto con le sigle).
Le direzioni di sviluppo poi saranno tracciate da un altro schema, il Transit Oriented Development che pone in primo piano le direttrici principali dei mezzi pubblici e permette così ai nuovi quartieri di sorgere con una accessibilità garantita ed efficiente (Calgary in Canada o Curitiba in Brasile sono esempi apprezzabili di questa strategia pianificatoria come mostrato dal link allegato sopra).
TOD - http://en.wikipedia.org/wiki/Transit_Oriented_Development
Questi sono i principi che costituiscono l'ossatura principale del New Urbanism e le linee di principio seguite per la pianificazione e la riqualificazione.
Tuttavia leggendo la Carta del New Urbanism (http://it.wikipedia.org/wiki/New_Urbanism) si ha l'impressione che l'enunciazione di principi sia abbastanza vaga e finalizzata più a raccogliere consensi che a dare strategie ben determinate di approccio. Frasi come “prevedere un rapporto armonico tra posti di lavoro e posti letto” oppure “le regioni metropolitane dovrebbero sviluppare strategie per incoraggiare sia lo sviluppo all’interno di esse sia nuove espansioni periferiche” o anche “tutti gli edifici dovrebbero fornire ai loro abitanti una chiara percezione dello spazio, del clima e del tempo”, sono condivisibili perché molto generiche ma non danno alcuna indicazione sui metodi per ottenere questi risultati desiderati né tanto meno danno esempi da seguire. D'altronde una Carta dei principi ha proprio lo scopo di dare delle linee base abbastanza larghe su cui poi si lavorerà nello specifico ma così facendo l'intero movimento del New Urbanism ha assunto fin dall'inizio una connotazione molto dogmatica e ideologica (quasi una dottrina filosofica) che può aver contribuito a farne una “moda” in USA ma che forse ne ha impedito lo sviluppo in Europa dove la visione critica e l'analisi dell'urbanistica sono forse più mature e meno inclini a seguire le mode.
La stessa incongruenza scaturita sin dai primi anni tra alcuni principi della Carta che ponevano l'urbanistica in primo piano prescindendo dall'architettura e la forte impronta nostalgica e “old fashion” data ai primi interventi (vedi Seaside e le casettine in legno colorato in stile coloniale) ne ha messo in luce i limiti e la mancanza di una vera critica razionale del problema affrontato.
In conclusione quindi il New Urbanism ha dato un interessante contributo all'analisi dei problemi delle nostre città ma invece di incentivare un più approfondito dibattito sulle strategie urbane si è fermato a concetti iniziali, assumendoli come una filosofia, disinteressandosi ad una ulteriore evoluzione (che in questo campo è fortemente necessaria per soddisfare le esigenze dei cittadini) e buttandosi spesso, ma per fortuna non sempre, in una pratica architettonica manieristica e nostalgica. Fortunatamente la crisi economica ha messo in luce i limiti di una urbanistica cieca e dogmatica e ha permesso a tanta gente di capire che NON esiste una filosofia urbanistica sempre e unicamente valida, ma che questa difficile e complessa materia ha bisogno di studi e approfondimenti continui, di evolversi e progredire, come avviene per l'architettura, per andare incontro alle esigenze della gente, che non si accontenta più di qualche intervento sporadico e abbellito da qualche finto “intervento estetico” ma esige una pianificazione organica e razionale.

9 commenti:

DARIO ha detto...

Non sono daccordo con te sui meriti del New Urbanism, corrente abbastanza banale che ripropone vecchi stilemi mascherati con la retorica del "new". Molto meglio la ricerca della forma applicata da un Foster o da un Piano che invece ragionano su quello che fanno e non seguono come un branco di pecore l'ennesima moda preconfezionata che il New Urbanism americano propone.

Master ha detto...

Devi però ammettere che in USA ha "risvegliato molte coscienze" e ha riaperto un discorso sull'urbanistica che da tempo era fermo. Poi sono daccordo che non tutti i risultati ottenuti sono originali e che molti seguono questa nuova corrente solo per moda. In Europa comunque credo che la ricerca e l'analisi sul tema urbano siano molto più approfondite che negli USA e che non ci sia quindi bisogno di un New Urbanism europeo per dare nuova forza al dibattito su questo tema.

Salvatore D'Agostino ha detto...

Master,
ti leggo spesso sul blog di Pietro.

Non riesco a trovare la tua mail. Come posso fare?
Saluti,
Salvatore D'Agostino

Master ha detto...

A Salvatore:
Puoi mandarmi dei commenti qui sul blog. La mail non la pubblico perchè ho solo quella di lavoro e cerco di non intasarla.

Salvatore D'Agostino ha detto...

Master,
ti voglio porre delle domande per un'inchiesta sul mio blog.
Qui mi sembra inopportuno.
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Master ha detto...

Ho inserito una mail per gestire il blog, puoi inviarmi quello che vuoi ora.

Salvatore D'Agostino ha detto...

Grazie,
SD

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, il new urbanism è un'esperienza schiettamente legata agli USA dove i problemi sono di tipo del tutto diversi dai nostri e quindi non è esportabile come fosse una merce.
Il piano strutturale delle mia città ha visto però, ai suoi inizi, Peter Calthorpe, uno dei maggiori esponenti del movimento, quale consulente scientifico e ti posso assicurare che è persona di grandi qualità che si è calato subito nella realtà di Arezzo e ne ha capito, in maniera sintetica e molto pragmatica, in perfetto stile americano, la struttura urbana e territoriale, senza quelle inutili e ridondanti finte analisi che vengono proposte, e che sono obbligatorie, dalla nostra legislazione e dalla cultura urbanistica italiana. Negli USA le città, chiamiamole così, hanno problemi immensi legati ad una netta divisione in aree funzionali, per fasce sociali ed etniche, non hanno centro e gli unici luoghi di scambio sociale sono i centri commerciali, dove gli americani si recano in massa con le auto.
Con questa situazione l'idea del New Urbanism non è la scoperta dell'acqua calda, come dici te, ma un movimento che ha cercato di portare negli USA un'idea di città europea, naturalmente interpretata a loro modo. Quanto all'architettura, che mi sembra che tu tratti con un pò troppa sufficienza, è quella che piace agli americani e che ha decretato il successo del movimento, insieme a città più umane. Il NU è fortemente legato all'imprenditoria e quelli non costruiscono se non incontrano il favore del mercato.
Detto questo del New Urbanism a noi europei non può interessare la lettera ma lo spirito sì, eccome.
Quanto alla "pianificazione organica e razionale" non so cosa sia, ma mi sa di slogan e del bla, bla dei nostri piani che hanno dato pessima prova di sè; quindi non c'è da essere troppo supponenti con il NU.
Saluti
Pietro

Master ha detto...

Che il New Urbanism sia e debba rimanere una esperienza americana è anche la mia impressione, anche perchè in Europa, come ho detto, c'è un'analisi molto più approfondita dei problemi urbanistici.
Per il resto non noto nel mio articolo la "supponenza" che mi viene additata. Questo fenomeno ha riscosso peraltro diverse critiche (e alcune le ho anche riportate) proprio per la sua "banalità" di fronte a linee di principio troppo vaghe e scontate (che forse sono proprio le cause dei flop riportati), io le ho solo riportate per darne un giudizio completo, come ho anche riportato i successi ottenuti con città come Seaside. Come vedi dunque, Pietro, io non vedo solo bianco o nero nell'analisi del fenomeno.
Il mio giudizio è comunque positivo nel complesso, se non altro per la volontà di fare qualcosa di meglio, anche se a volte non è bastato e sicuramente non ne avrei parlato se non fosse stato interessante.